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Alcune riflessioni sulle condizioni del patrimonio storico-artistico-ambientale di Caccamo PDF Stampa E-mail

Nutro qualche perplessità per rispondere a quanto mi chiede il Prof. Giovanni Panzeca nella sua veste di Presidente della Pro Loco di Caccamo. Egli mi sollecita cortesemente, infatti, di intervenire via Internet nella discussione aperta sulla tutela e valorizzazione del nostro patrimonio storico-artistico-ambientale.

Il motivo della mia titubanza nasce dal fatto che sono stufo di parlare in continuazione con dei sordo muti, per i quali la scienza non ha ancora trovato fino ad oggi, purtroppo, una cura adatta. Di questa malattia soffrono a Caccamo non pochi cittadini, compresi anche quelli in giovane età.

 

Intervengo solo perché la tutela del patrimonio storico-artistico-ambientale di un qualsiasi centro è un problema talmente importante che una persona che si consideri in possesso di un minimo senso civico non può assolutamente esimersi dal dare un suo pur modesto contributo per cercare di risolverlo. Ciò che è riuscito a fare in proposito a Caccamo il Cav. Giorgio Ponte nel corso dei suoi 15 anni di presidenza della Pro Loco, in modo appassionato e assolutamente disinteressato, rimane un esempio difficilmente imitabile, a cui non si può mancare però di far riferimento. Oggi nella nostra città è assolutamente necessario e urgente riprendere quel lavoro, studiando una strategia di interventi che tenga conto di alcune priorità.

 

Fare un elenco, anche sommario, di quanto di questo patrimonio in questi ultimi decenni è stato abbandonato a sé stesso, distrutto o alienato è molto facile, perché è accaduto sotto gli occhi di tutti. Basterebbe accennare solo alla distruzione degli archivi di varie istituzioni, a cominciare da quello del Comune. Ma nel nostro paese si continua a guardare, a quanto pare, la luna e le stelle e non ci si accorge di quanto succede intorno. Anche gli amministratori della cosa pubblica e quanti hanno occupato e occupano posti di responsabilità, sembrano essere stati colpiti dalla terribile malattia della cecità, che si aggiungere a quella altrettanto grave a cui si accennava sopra: cioè di essere dei sordo muti.

Sono pienamente convinto che invece di rimpiangere “quel Ponte che non c’è più” – si allude al trecentesco ponte chiaramontano sul fiume S. Leonardo rimasto sommerso dall’invaso Rosamarina – sarebbe più utile creare i presupposti, da parte di chi vi è istituzionalmente deputato, per invertire la nefasta tendenza di questi ultimi decenni. È assolutamente necessario, infatti, fare in modo che il suddetto patrimonio sia tutelato con maggiore efficacia da parte di tutti: dalle massime autorità ai comuni cittadini.

Qualche immagine riprodotta in alcune delle recenti pubblicazioni, che aveva lo scopo di evidenziare quanto sopra, non ha suscitato nessuna eco in coloro che si considerano facenti parte della “intelligentia” caccamese. Si vede che l’argomento non interessi più di tanto o che la lettura sia l’ultima delle attività preferite da questi signori.

Un esempio per tutti può essere costituito dalla scomparsa di alcune opere nella chiesa di S. Benedetto alla Badia. Per rendersene conto basterebbe guardare qualche foto di non molti anni addietro riguardanti il ciborio dorato. Esso risulta privo, infatti, delle quattro statuette di sante benedettine che l’adornavano ed è spoglio dei seicenteschi candelabri in legno scolpito. Mancano anche le antiche lampade poste ai lati dell’Altare Maggiore, e non si hanno più notizie degli antichi messali di cui la chiesa era dotata. Si dice che la pregevole lastra in argento sbalzato che decorava il tabernacolo con il Cristo risorto sia stata portata nella chiesa dell’Annunziata e le due statue di S. Benedetto siano conservate alla Matrice.

Il preziosissimo pavimento maiolicato, considerato dagli studiosi tra i meglio conservati della Sicilia, viene usato in modo abominevole per depositarvi la vara di qualche santo adibita per le processioni, con tutte le conseguenze che anche un cieco dalla nascita, affetto per giunta da sordità, può facilmente immaginare. In proposito nessuno ha mai pensato di sfruttare il rilievo dello stesso pavimento disegnato una ventina di anni fa per desiderio del Prof. Ragona, considerato uno dei più grandi studiosi di ceramica siciliana. Facendone un ingrandimento fotografico, accompagnato da una esauriente didascalia, permetterebbe ai visitatori di apprezzare meglio le qualità artistiche dell’opera e le soluzioni decorative nel loro complesso. A parere di alcuni critici del settore, questo prezioso pavimento fu eseguito presso una grande bottega di mattonaro della capitale, ma concepito nel suo insieme sicuramente da un grande artista.

Non si hanno più notizie della lapide posta nel bevaio della Misa, di un reperto della seicentesca Porta Antonia scoperto casualmente nel 1974, del grande ritratto del Can. Don Leonardo Sottile conservato presso il Monte di Pietà, dell’opera dello storico Agostino Inveges conservata nella biblioteca dei Frati Cappuccini, dei numerosi volumi che costituivano il patrimonio della biblioteca del Duomo, e via di questo passo.

Ma è inutile piangere sul latte versato! È più utile, fin da subito, porre l’attenzione da parte di tutti – e in primo luogo da parte della Pro Loco e dell’Assessore alla Cultura – su quello che si può fare oggi con proposte significative e facilmente attuabili; anche piccoli interventi che non prevedono la spesa di grosse somme di denaro.

Nessuno ha mai pensato, per esempio, di togliere quell’osceno grosso tubo di gomma nero che verticalmente deturpa la base del campanile del Duomo. Essa è una delle più antiche strutture murarie di Caccamo e risale al periodo chiaramontano, sec. XIV. È vergognoso che le sollecitazioni fatte a chi di competenza non abbiano avuto ancora ascolto. Lo stesso si può dire della grande statua in pietra di Biliemi di S. Teotista deturpata anni addietro con alcune chiazze di colore da parte di qualche nostro concittadino imbecille.

Sulla piazza erano collocati degli artistici lampioni in ghisa alla base dei quali era impresso in rilievo lo stemma di Caccamo. Si dice che siano conservati in un magazzino comunale. Forse sarebbe il caso di recuperarne almeno uno per non farne perdere definitivamente la memoria. Sempre a proposito della nostra Chiesa Madre è risaputo che per alcuni anni una non ben precisata cooperativa ha lavorato nella sistemazione dell’archivio parrocchiale. A quanto risulta, alla scadenza dell’incarico non è stata presentata nessuna relazione su quanto è stato fatto nel corso degli anni, si spera con coscienza e in modo scientifico.

Nella chiesa di S. Francesco vi erano antichi documenti riguardanti, pare, una eredità dell’antico convento. Sono stati saccheggiati e dispersi. Ancora oggi l’aula della chiesa, diventata magazzino comunale, è piena di molte carte che bisognerebbe salvare per poi verificarne il contenuto. Forse, se ben guidato, se ne potrebbe occupare il personale dell’Art. 23.

Nel castello manca molto del materiale che costituiva il suo arredamento. Di alcuni quadri scomparsi esistono le immagini fotografiche che convenientemente ingrandite potrebbero essere esposte nello stesso ambiente in cui si trovavano. La stessa cosa sarebbe utile fare con i ritratti dei signori che nel passato hanno avuto il possesso del castello: Donna Anna Cabrera; D. Giovanni Alfonso Henriquez Cabrera, che elevò Caccamo al rango di Città del Regno; D. Giuseppe De Spuches, primo Duca di Caccamo, con la moglie Donna Vittoria Brancoli; D. Antonio De Spuches con la moglie Donna Maria Ruffo, D. Giuseppe De Spuches con la moglie Donna Giuseppina Turrisi Colonna; D. Antonino De Spuches Franco con il figlio D. Giuseppe.

Il plastico del castello, fatto eseguire alla fine dell’800 dal Principe per i restauri dello stesso, è abbandonato da anni in una sala dell’Orfanotrofio. Potrebbe essere restaurato e riportato nel medesimo posto occupato nella sala Amato. Sarebbe anche utile esporre le più antiche immagini del castello che si conoscono, a cominciare da quella che risale con molta probabilità al XVIII secolo, dipinta sul quadro dei SS. Pietro e Paolo. In essa è ben visibile l’originaria struttura dell’antichissima Torre Mastra, affiancata da quella trecentesca chiaramontana. Da non trascurare nemmeno le immagini del grande fotografo Enzo Sellerio scattate negli anni ’60 del Novecento e quelle di Enzo Braj scattate in diversi periodi.

Ai turisti in visita al castello spesso rimane in mente di esso una sola immagine esterna, quella che si vede venendo da Termini Imerese, mentre attraverso delle foto se ne potrebbero dare delle altre con la visione da Est, da Mezzogiorno e da Sud-Ovest.

Largo Mons. Vincenzo Aglialoro da anni aspetta di essere restaurato, rimettendo nella fontana dove si trovava la copia della testina muliebre il cui originale, donato dal Prof. Giuseppe Sunseri Rubino, è stato rubato alcuni anni addietro. Si dice che da un calco in gesso ne siano state fatte due copie in marmo. Verificare, prego!

Camminando per le vie del paese si possono notare degli scalini con delle scritte, che all’origine probabilmente facevano da architrave in ingressi di edifici religiosi o laici, degli stemmi nobiliari e frammenti di fregi decorativi. Sarebbe opportuno che questo materiale venisse recuperato quanto prima e sistemato – come fanno in Toscana e in Umbria – in un muro adatto, magari in quello della chiesa di S. Antonio Abate. A Fuori Porta si dovrebbe riportare la lapide e lo stemma, inopinatamente trasportati nel Largo Pietro Spica. Sormontavano la seicentesca porta fatta costruire da D. Antonio Amato. Nel punto esatto dove la stessa sorgeva sarebbe utile collocare una scritta che ne tramandi la memoria.

Negli anni passati sono state allestite due mostre fotografiche che avevano lo scopo di cominciare un’opera di recupero di quell’importante patrimonio costituito da antiche immagini in possesso di molte famiglie che, come già avvenuto, sono votate alla distruzione. Il fine ultimo sarebbe quello di preparare il materiale per la pubblicazione di un grosso volume fotografico che illustri la vita sociale, politica e religiosa di Caccamo nel secolo scorso. Dovrebbe essere diviso in capitoli tematici riguardanti il mondo del lavoro nelle campagne, quello degli artigiani, l’aspetto religioso con le funzioni liturgiche e le processioni, il mondo dell’istruzione con le foto delle classi con alunni ed insegnati, lo sport con quelle immagini risalenti all’inaugurazione del campo sportivo di Piano di Corte e alla prima partita di calcio che si è disputata a Caccamo nel lontano 1933. E poi alcuni aspetti della politica con i suoi protagonisti a cominciare dal Comm. Giorgio Pusateri, o della religione come Fra Michele Prinzi che ha salvato dalla requisizione il Convento dei Cappuccini di Caccamo.

Presso la Biblioteca Comunale Popolare sarebbe utile che si creasse una sezione riguardante le Tesi di Laurea degli studenti caccamesi, soprattutto quelle che si riferiscono alla storia e al patrimonio storico-artistico della città. Contemporaneamente i responsabili della stessa istituzione dovrebbero farsi carico della ristampa di alcune pubblicazioni che riguardano Caccamo, come quella di Leonardo Sunseri Concialdi edita nel 1908 o la Tesi di Laurea di Padre Sciarabba che ha come tema il Duomo di Caccamo. L’aspetto più importante di quest’ultimo lavoro consiste nel fatto che contiene la trascrizione di importantissimi documenti andati oggi in parte dispersi.

Nessuno ha mai pensato di esporre in una parete della stessa Biblioteca il ritratto del suo fondatore: l’Avv. Carlo Caraffa. Questa benemerita istituzione voluta dal nostro illustre concittadino avrebbe bisogno di maggiori spazi, perché è soggetta all’arricchimento continuo del materiale librario, possibilmente anche con donazione di privati, e di una sala di lettura dove poter leggere senza essere distratti dal via vai continuo del personale.

Bisogna notare che il Comune di Caccamo negli ultimi anni non si è fatto promotore di nessuna importante pubblicazione riguardante la storia, l’arte e le tradizioni della nostra città. Quello che è stato realizzato è nato da iniziative private, come le notevoli pubblicazioni edite dalla locale Cassa Rurale S. Giorgio o quelle stampate e programmate dall’Associazione Culturale per la tutela della Storia, delle Tradizioni Popolari, dei Beni Artistici e Monumentali della Città di Caccamo. I turisti che vengono a visitare la città hanno bisogno di disporre di un’agile guida che illustri la storia e il patrimonio artistico accumulato nei secoli. Non bisogna dimenticare che Caccamo dispone delle opere di quasi tutti gli artisti fiamminghi che hanno operato in Sicilia, di cui pochi purtroppo ne conoscono l’esistenza. Basta ricordare Mattia Stomer, Guglielmo Borremans, Houbraken, Wobrek, ecc.

Da questa sommaria e a volte confusa elencazione, mi auguro che si possa trarre qualche utile idea operativa. È da sottolineare che nell’eventualità che quanto esposto dovesse essere attuato, anche solo in parte, ciò non comporterebbe grossi sforzi finanziari, ma solo impegno organizzativo e volontà di arrivare a concreti risultati. I grandi progetti che riguardano le infrastrutture, l’arredo urbano, il restauro di immobili di notevole pregio artistico, liberare una volta per tutte il paese dalla miriade di cavi elettrici che deturpano gli angoli più caratteristici, ecc., comportano studi particolari, spese notevoli e il tempo necessario.


Ma su quanto esposto all’inizio probabilmente devo ricredermi, in quanto mi si dice che al Piano Faso – considerata l’Agorà di Caccamo – non sono pochi quelli che parlano in continuazione del modo con cui si possono risolvere i tanti problemi che affliggono il paese. Essi hanno, infatti, una lingua lunga quattro canne, sono in possesso di un’ottima vista e dispongono di un udito molto fine. A quanto pare – come detto – hanno idee chiarissime su come intervenire su tutto, fin nei minimi particolari. Per di più criticano in continuazione quei pochi, amministratori o singoli privati, che s’impegnano a fare qualcosa di utile per la città. Resta il fatto che sostanzialmente costoro non hanno fatto, però, mai nulla oltre a giudicare, biasimare, censurare e sindacare su tutto. Nell’antica Roma tali personaggi erano condannati “ad metalla”, cioè a lavorare nelle terribili miniere aurifere del Sud dell’Egitto, in modo che perdessero definitivamente quel loro esiziale vizio. Per certi versi sono da preferirgli gli “idioti” ateniesi, che non erano come si potrebbe erroneamente pensare dei cretini, ma solo dei cittadini che non si occupavano direttamente della cosa pubblica lasciando che lo facessero altri.

Mi preme dichiarare, anche per non offendere qualcuno, che ultimamente mi sono accorto di sentirci poco, parlare con difficoltà e avere delle complicazioni alla vista. La cosa mi preoccupa non poco. Non vorrei che diventassi anch’io sordo muto e perdessi anche l’uso della vista. Qualche amico allarmato da questa mia situazione fisica mi ha consigliato di consultare quanto prima dei bravi medici specialisti in materia. Cosa che farò al più presto.


Ringraziando dell’attenzione, porgo i più cordiali saluti al Presidente della Pro Loco e ai tre o quattro amici che ho a Caccamo. Amen!


Giovanni La Rosa



Caccamo, Luglio 2007.


Ultimo aggiornamento ( lunedì 30 luglio 2007 )
 
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